venerdì 30 gennaio 2009

Elogio del no

Rileggendo il mio ultimo post, ho avuto l'ennesima conferma che la verità non ha una faccia sola. Nella mia lunga, troppo lunga, perorazione pro "sì" cerco idealmente di convincere qualcuno della bontà di un'idea. E come in tutti i testi argomentativi si evitano alcuni vicoli ciechi così come incroci troppo ingarbugliati, per scegliere invece strade panoramiche e prive di ostacoli. Ma tutto è appeso a un filo.
Chiunque avesse voluto ribattere la mia teoria poteva benissimo trovare un'infinità di contro-argomentazioni validissime. Come osserviamo nella quotidiana corsa al potere in questa società della comunicazione, o come (più nobilmente) secoli fa nella patria della retorica classica. Insomma, la verità non ha mai una faccia sola ed è il più bravo ad avere ragione.

Mi contesto da solo quindi, chiudendo con una piccola e fulminea perorazione pro "no".
Prendo in prestito una frase scritta da un amico scrittore per hobby dal talento sorprendente, che qualche anno fa, dando il là ad una storia tanto surreale quanto convincente, fece trovare a un suo personaggio un volantino pubblicitario di corsi d'autostima, o qualcosa del genere, con su scritto un claim davvero geniale: «afferma te stesso, impara a dire di no!».

lunedì 26 gennaio 2009

Il sì vi renderà liberi

Qualche settimana fa ho visto il film "yes man" con Jim Carrey: discreto: a tratti scontato, ma piacevole, divertente. Il titolo (grazie al cielo non tradotto/storpiato nell'edizione italiana) ne rappresenta bene l'essenza, affidando alla semplice magica parola "sì" il compito di condurre la mente verso orizzonti possibili.
Non me ne intendo, ma credo esista una qualche "filosofia del sì" in terra americana (o meglio, mi stupirei del contrario), una sorta di inno alla positività, alla possibilità, che trova in questo film una trasposizione un po' facilona ma fedele. Nella rappresentazione filmica, però, il tutto viene estremizzato in maniera iperbolica, e quindi reso ridicolo. Sottraendo al "sì" il suo vero valore.
Esiste una particolare forma di teatro che porta in scena l'improvvisazione, un'affascinante e divertente forma spettacolare che prende il nome appunto di "improvvisazione teatrale". Pratica di grande valore per gli attori e di inaspettato divertimento per il pubblico, l'improvvisazione si fonda su un unico principio: mettere in scena la verità del momento, senza copione, senza regia. Il tutto nasce come la vita, in diretta, sul palcoscenico. E uno dei trucchi fondamentali per riuscire in questa difficile arte è imparare a dire di "sì".
L'attore poco preparato, o in difficoltà, è facile preda del "no". Questo si traduce in un tonfo nella scena, un ostacolo, un punto. Quando invece l'attore accetta ciò che arriva dai suoi compagni allora potrà nascere qualcosa di davvero buono, qualcosa di nuovo. E' una regola matematica, nonostante la sua dimostrazione sia solo empirica. Dire di sì significa essere aperti alla vita, pronti alla novità.
Peter Brook, celebre regista, fondò proprio sugli esercizi di improvvisazione il suo "metodo" pedagogico per attori. Defininendo l'improvvisazione come un allenamento «per essere pronti all'imprevisto», in cui l'attore vive un momento di verità, senza difese, senza le barriere dietro alle quali ci si nasconde: i "no".
E tutto questo come per magia si ritrova nella vita: ogni volta che scegliamo strade conosciute diciamo un no, ogni volta che siamo pigri diciamo un no, ogni volta che abbiamo paura diciamo un no. Perdendo l'occasione di rendere più interessante la nostra vita.
Non si tratta solo di una questione linguistica ma di un vero e proprio approccio mentale, distante anni luce dal simpatico ma incosciente personaggio messo in scena da Jim Carrey. Solo l'attore preparato può essere un grande improvvisatore, e guadagnarsi gli applausi. Solo un essere umano cosciente può godere della potenza del sì, e uscirne vivo.

martedì 20 gennaio 2009

Indole e lentezza

Ho sentito una volta attribuire a Napoleone una sagace affermazione, diceva all’incirca così: “l’unica cosa che si impara dalla storia, è che non siamo capaci di imparare nulla dalla storia”. O qualcosa del genere. Paternità (presunta o reale) a parte, è una frase che non riesco proprio a dimenticare, seppur credo l’abbia sentita anni fa. Mi ronza nella testa e ogni tanto viene fuori. Come una verità, alla faccia delle ipocrisie. L’essere umano, se è fatto come me intendo, è davvero buffo. Ha la capacità di costruirsi immagini mentali della realtà, chiamandole profanamente “consapevolezza”, e poi quasi non osservarle. Disattenderle. E ricascarci insomma, ancora e ancora.

Non mi riferisco ai grandi eventi dell’umanità, ma alle banali scelte quotidiane di ognuno. Il personale modo di vivere la vita. Io, per esempio, ho capito!, ma alla fine ci ricado. Ho già riconosciuto molti errori, e testardo continuo a ripeterli. Forse questo gap rappresenta ancora la nostra istintiva origine animale, un baco annidato proprio nel cuore dell’elemento che forse ci rende più lontani dall’animale stesso. La coscienza di sé.

Anche quando capitano eventi importanti, che magari destabilizzano e modificano la nostra percezione della vita, tendiamo (tendo) a tornare alla nostra ciclicità cosmica. Insomma, le cose importanti sono altre, eppure lo spazio continuo a dedicarlo a questo o a quest’altro. E magari me la prendo pure, per questo o quest’altro...

Però, forse pretendiamo anche un po' troppo da noi stessi. La ciclicità, buona o cattiva, è la rappresentazione della vita. E la natura ci mette secoli ad evolvere e migliorare. Non è che adesso arriviamo noi e zac, tutto rapido e indolore. Immediato. No. E' che la nostra vita è troppo breve, questa la verità. Forse fu Michelangelo, così chiudo con un'altra presunta citazione da quattro soldi, a dire alla fine della sua vita: "è un peccato che debba morire, avevo appena cominciato ad imparare".

venerdì 2 gennaio 2009

E via

Voglio partire da un concetto minimo, un'espressione forse banale del nostro comunicare, i "5 minuti". Quelli che mi sono girati per ideare questo blog, quelli che mi sono serviti per farlo, quelli elastici che poi arrivo, o quelli che ci penso. Quelli che ci stiamo solo 5 minuti, magari per farci 5 minuti di pausa, in fondo ho lavorato fino a 5 minuti fa, e non potevo aspettare nemmeno 5 minuti...

Se dovessi io dividere il concetto di tempo credo userei questa unità di misura, questa particella elementare. 5 minuti sono sufficienti per prendere una decisione, per cambiare un'idea, sono abbastanza per stravolgere una giornata, a volte per cambiare una vita. 5 minuti magari non bastano per scrivere un articolo di questo blog, ma sicuramente per leggerlo. E per rifletterci.
Nasce così questo esperimento, uno slancio d'inizio anno (come sempre portatore di buoni propositi), che risponde a un bisogno covato da tempo: creare un luogo, un laboratorio, uno spazio di scrittura e riflessione. Staremo a vedere.
E buon anno!

p.s. quelli che ho sempre preferito sono i "5 minuti e mi alzo".